Dopo Caporetto, fu avviata un'inchiesta governativa sull'accaduto, che concluse i lavori indicando fra i principali responsabili Luigi Cadorna (capo di Stato maggiore), Luigi Capello (il generale che guidava la Seconda armata) e Alberto Cavaciocchi (un altro generale, subalterno di Capello, cui era affidata la difesa di Plezzo).
A Cadorna, oltre a un'imperizia generale, fu contestato il durissimo trattamento riservato ai soldati (sul fronte dell'Isonzo solo nel 1917 ne furono fucilati almeno 75), che aveva demoralizzato le truppe. Capello fu accusato di aver disobbedito agli ordini tattici di Cadorna, Cavaciocchi di aver ripiegato a Plezzo. I primi due scaricarono le colpe sulle truppe, solo il terzo si prese le sue responsabilità.
Del tutto indenne uscì dall'inchiesta un quarto generale, Pietro Badoglio, che doveva difendere Tolmino e invece abbandonò i reparti riparando subito a Udine. Pare che contro di lui la commissione avesse preparato ben 13 pagine di accuse, ma il dossier fu "tagliato" su pressione di Diaz, che aveva cooptato il generale nel suo staff. Abile nel giocare su più tavoli, Badoglio fece poi una brillante carriera negli anni del fascismo e poi, abbandonata in tempo la barca pericolante, divenne il primo capo del governo post-fascista.
Quanto agli altri protagonisti di Caporetto, Cadorna morì nel 1928 dopo essere stato riabilitato da Mussolini; Capello finì in carcere nel 1925 per aver partecipato a un complotto antifascista; Cavaciocchi morì nello stesso anno di crepacuore.